Verso il Consiglio Nazionale/Come ricostruire la casa comune dei repubblicani

Rilanciare la politica dei redditi di Ugo La Malfa

di Alberto Fuzzi*

Partecipo volentieri al dibattito che si è aperto sulla “Voce”. In particolare Valbonesi nel suo articolo si augura, con la fine del bipolarismo per le poltrone, la riscoperta degli ideali che possono portare a coalizioni politiche più affini che pongano, avanti a tutto, l’interesse del Paese.

E’ senz’altro da condividere l’appello alla ricostruzione di una casa comune dei repubblicani perché, dopo la sbornia dello schierarsi a destra a sinistra facendo tacere per anni le proprie idee in campo economico e sociale, si riconquisti quello spazio nel Paese che avevamo sempre avuto anche se con percentuali irrisorie al momento del voto.

E allora, visto che dovremo appoggiare l’esperienza Monti, credo sia opportuno cominciare a discutere e diffondere le nostre proposte perché l’Italia non si trasformi in un paese governato dei banchieri perché la politica non è all’altezza di fornire proposte credibili.

Accanto alla riscoperta della necessità di una programmazione delle risorse, penso che innanzitutto dovremmo rilanciare la politica dei redditi tanto cara a Ugo La Malfa e, all’epoca, osteggiata dalla sinistra: è possibile ed accettabile che ci siano compensi a calciatori che corrispondano al salario totale di 1.500 dipendenti o stipendi di dirigenti che corrispondono a quelli di centinaia o migliaia di dipendenti (ed il settore bancario ne è un luminoso esempio)?

Possiamo permetterci di dire qualcosa se, qualcuno che occupa la poltrona di dirigente della Banca d’Italia (ora svuotata dai propri compiti principali e complice del disastro attuale per la mancanza di adeguati controlli) e che, percependo 500.000 euro di stipendio annuo, sembra si rifiuti di lasciare il proprio posto per fare il viceministro dell’Economia dove prenderebbe un minore stipendio?

In ottica della revisione del welfare, come partito possiamo ricordare come tutto vada visto nel complesso: pensioni, servizio sanitario, interventi, servizi per l’infanzia e per gli anziani.

Possiamo dire qualcosa in vista di una manovra che blocca la rivalutazione delle pensioni quando esistono pensioni di privilegiati anche superiori a 30.000 euro mensili?

E’ possibile che le pensioni pubbliche in Francia e Germania non superino i 2.800 euro mensili (se qualcuno vuole avere di più si può sempre fare una pensione privata) e i contributi a carico del lavoratore e dell’azienda si versano solo col massimale legato alla suddetta cifra?

E’ possibile che nel nostro Paese, con salari e stipendi largamente più bassi rispetto a quei paesi, l’Inps possa permettersi di pagare le pensioni più alte ai dirigenti pubblici e privati (che, di fatto, hanno sostituito i proprietari delle aziende) ivi compresi quelli sindacali e cooperativi (derivanti per due terzi dai contributi a carico del datore di lavoro nominale che poi li scarica sui prezzi calcolandoli nel costo del lavoro o dello Stato, Enti pubblici e locali che poi li debbono recuperare con le tasse e balzelli locali)?

Quanti di questi pagherebbero di tasca propria gli importi necessari per raggiungere le cifre attualmente erogate dall’Inps (con annessi e connessi relativi alle pensioni di reversibilità)?

Quanto questi oneri supplementari rispetto a Germania e Francia incidono poi sul costo per unità di prodotto o come costo dei servizi pubblici?

Contemporaneamente ci dovremmo chiedere se con il sistema contributivo sia onesto permettere ancora che contributi versati nelle diverse gestioni Inps create per seguire gli appositi contratti particolari vengano persi se non raggiungono un minimo di 3 anni per singola gestione. Personalmente mi appare un furto, ma forse mi sbaglio.

Però se vogliamo dare una maggiore dignità ai giovani che hanno subito queste "creatività" sulle loro spalle, credo potremmo farci portavoce, senza lasciare campo aperto alla Lega Nord.

E mentre subiamo passivamente lo spostamento in avanti del diritto alla pensione facciamo finta di ignorare che col declino demografico e il ritardo del concepimento dei figli ci sarà una necessità sempre più evidente di nuove strutture per la gestione degli anziani da un lato e di asili nido dall’altro, con un costo a carico della collettività facilmente quantificabile fra una e due volte una pensione (normale) che non viene erogata per alcuni anni.

Quello che in sintesi propongo, nell’appoggiare l’invito di Valbonesi, è fare sapere nuovamente all’esterno cosa pensiamo su temi che interessano la gente, appoggiando o criticando le cose che non vanno nell’interesse del Paese.

E, sapendo che tutto ha un costo, perché invece di porre limiti alla rivalutazione delle pensioni non si introducono meccanismi che portino a contribuire al servizio sanitario anche i pensionati, come accade per i dipendenti con una piccola quota trattenuta sullo stipendio? Forse che i pensionati non usufruiscono del servizio sanitario?

Se una volta i pensionati erano la categoria più debole del nostro Paese, forse oggi non lo sono più. Perché allora un precario paga il contributo al servizio sanitario in busta paga ed un pensionato no? Quello del welfare da riformare è solo un argomento, anche se tende a coprire gran parte della spesa pubblica.

Restano fuori altri temi che ritengo importanti, quali le multi poltrone in capo alle stesse persone con conflitti di interesse più che evidenti e che dovrebbero indignarci.

Ma forse avremo il tempo di discutere di questo e di altro se avremo il coraggio di ritrovarci assieme.

*responsabile economico Pri Modena